“Come sarebbe a dire che questa cosa non funziona per voi? Ma funziona per tutti! Ci sono sacco di studi che ne attestano la validità. E’ considerata valida in tutto il mondo e noi l’abbiamo sperimentata così tanto e le persone ci danno sempre feedback entusiastici!”
Per le persone neurodivergenti essere l’eccezione è la regola.
Essere costantemente l’eccezione è davvero strano! Qualcosa a cui non ci sia abitua mai. Pensateci… si vive col gusto del paradosso sulla lingua, si prova a gestirlo con alte dosi di ironia, che nel tempo diventa sarcasmo, alternato a tentativi immersivi di comprensione dell’altro, di adattamento, di comprensione di un sé che non ne vuole sapere di rientrare nella parte fortunata delle statistiche, siano queste il risultato di questionari di gradimento o elaborazioni dati per la validazione dei risultati della ricerca sul Pincopallorum applicato alle Neuroscienze Quantiche.
Un sé destinato a non essere rappresentato quindi, ritenuto trascurabile e pure un po’ fastidioso perché getta sporco su quella pretesa di candore che ci investe di fronte alle cose che abbiamo bisogno di ritenere unanimemente valide, perfette, consentendoci così, l’illusione di essere nel giusto, portatori della verità.
Reagiamo quindi con sarcasmo, noi disturbatori, ma anche con autentico impegno, che rivelano tutto il loro retrogusto amaro davanti agli effetti che una vita condotta nella fetta trascurabile delle statistiche ha in termini di salute mentale, rapporto con sé stessi e con gli altri e con un mondo che continua la sua corsa sul binario della maggioranza che, per troppe cose, non è nemmeno parallelo a quello della divergenza, ma tende ad andare verso un’altra direzione e se facciamo correre tutti i treni solo su un binario, le persone neurodivergenti saranno sempre più lontane da ciò che diventerà la società. Sempre più marginalizzate, stigmatizzate, colpevoli di non adattarsi a ciò che agli altri non richiede affatto adattamento.
La pretesa di scientificità su argomenti quali: psichiatria, psicologia, neuropsichiatria, comportamentismo, comunicazione e tutto ciò che pretende di spiegare e descrivere l’umano producendo una comprensione generalizzata del funzionamento, è quantomeno discutibile e ha degli effetti disastrosi sulla vita di alcune persone.
Volete degli esempi concreti? Eccoli!
Quasi ogni persona neurodivergente adulta ha ripetutamente cercato aiuto nella psicologia durante il corso della sua vita e l’esito è stato troppo spesso un niente di fatto o danni ulteriori, tanti anni persi, spesso a colpevolizzare se stessi per non essere in grado di reagire in linea con le attese al percorso offerto, risorse economiche gettate al vento, una dose abnorme di disillusione e la consapevolezza di una differenza che la separa irrimediabilmente dagli altri e che, se è fortunata, verrà almeno identificata in un sistema neurobiologico organizzato diversamente, che produce un funzionamento differente a livello cognitivo, nei termini dell’interpretazione delle esperienze, del mondo attorno a sé e di sé, a livello delle motivazioni che muovono scelte, azioni e reazioni, a livello relazionale e comunicativo.
Come può una “scienza” finora fondata sull’indagine del funzionamento tipico dare risultati attendibili per chi funziona in modo anche molto distante da quello preso in considerazione? Nella maggior parte dei casi non può.
Ma possiamo anche parlare delle prescrizioni psicofarmacologiche nei confronti delle persone neurodivergenti, non prima di aver evidenziato la sostanziale impreparazione del sistema psichiatrico già solo a riconoscere la neurodivergenza, con conseguente proliferazione di misdiagnosi e tutte le conseguenze che ne conseguono in termini di falsata consapevolezza di sé e indicazioni terapeutiche fuori fuoco, farmacologiche e non.
E’ ormai noto, ma non quanto dovrebbe, che la popolazione neurodivergente presenta spesso una farmacogenetica non in linea col resto della popolazione a sviluppo tipico: gli psicofarmaci danno effetti diversi da quelli attesi, talvolta pericolosi per la vita delle persone.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a farmaci le cui caratteristiche e indicazioni terapeutiche sono individuate a fronte di un rigoroso procedimento di ricerca, sperimentazione e analisi che ne garantisce la scientificità.
Un altro esempio riguarda gli studi su comunicazione, competenze sociali, doti relazionali, che sono da sempre condotti su campioni di popolazione la cui maggioranza è a sviluppo tipico e va da sé che siano queste le persone che danno i risultati statisticamente rilevanti e che finiscono per costituire “evidenza scientifica”.
Le persone neurodivergenti hanno un funzionamento cognitivo, sociale, relazionale, comunicativo divergente e una valutazione di questi parametri fondata sui criteri individuati per la popolazione tipica non sarà mai attendibile, se non per misurare il grado di difformità dalle attese, pertanto non avrà valore informativo. Non orienterà nell’inserimento lavorativo per fare un esempio, né nella vita.
Chi ci è passato lo sa: troviamo un’oasi nel deserto quando e se finiamo per incontrare quei professionisti, rari ma esistenti – io ne ho incontrati alcuni dal vivo e garantisco sulla loro natura umana e non mitologica – che nel lavoro con la neurodivergenza hanno intuito i limiti di ciò che hanno appreso nel loro percorso formativo standardizzato, al quale hanno il coraggio di non “credere” in maniera acritica, ma lo contestualizzano e lo confrontano coi risultati che NON incontra, senza paura di rinnegare il Dio Dogma. Sono quei professionisti che hanno capito che per lavorare con la neurodivergenza c’è bisogno di impegnarsi a collaborare con i diretti interessati per riscrivere quello che con loro non funziona, sapendo di dover essere pronti a contraddire molto di quello che hanno pagato per apprendere.
Quando mi trovo a frequentare corsi di formazione sul vattelappesca, magari pagati con soldi pubblici, che si aggrappano al dogma della validazione scientifica per propinare lezioni e diffondere strumenti la cui validazione è fondata sugli stessi maledetti bias, ecco, a me fa incazzare, perché significa continuare a mettere tutti i treni sullo stesso binario che porta me e molti altri fuori strada.
Quando inizieremo a capire che in relazione alle suddette tematiche si può ragionare solo in termini di differenziazione dello sguardo e dei significati, perché l’umanità è plurale, la varianza è la vera norma e non l’eccezione e quando smetterò di sentirmi dire da persone inconsapevoli di cosa significhi non avere il privilegio di nascita di appartenere alla maggioranza “Ma sai, Alice, devi capire che qui stiamo imparando cose che vanno bene per gran parte delle persone” allora forse mi darò pace, perché sono stufa di pagare come gli altri, impegnarmi come gli altri, per avere sempre qualcosa che non mi è utile come dovrebbe, qualcosa che non posso mettere a frutto con le persone come me, qualcosa che devo scremare di un buon 80% per ricavare quelle quattro briciole spendibili.
Fino ad allora continuerò a sopportare sulle mie spalle il peso del disagio che vi provoco facendolo notare.
Sono Alice, sono l’eccezione, da sempre, e non ho nessuna intenzione di confermare la regola.