Le domande della ricerca: definire una rotta

Di Silvia Arioli

L’autismo è oggetto di ricerca scientifica da quando è stato definito a livello clinico. Soldi su soldi spesi per cercare di rispondere alle domande: perché si diventa autistici? Come prevenire l’autismo? E soprattutto, come curarlo? Sul perché si diventi autistici ci si sbizzarrisce: dai vaccini all’inquinamento, dalle madri troppo fredde ai batteri intestinali. Per prevenirlo, naturalmente, bisogna evitare le cause, variabili in base alle mode del momento. Per curarlo, si spazia ancora di più con la fantasia, tra indicazioni alimentari molto ristrette e integratori si passa per trapianti fecali, aglio nell’ano, cure omeopatiche, psicanalisi, vermi intestinali e chi più ne ha più ne metta. E via con lo stanziamento di soldi pubblici e privati, uso dei fondi per la ricerca di quel pezzetto blu di puzzle che manca. Ah, se si potesse prevenire o almeno curare! Nessuno soffrirebbe più: i genitori dei bambini chiusi nella bolla, la gente non più disturbata dai comportamenti così strani di questi esseri strani, gli insegnanti senza studenti neurodivergenti. Ah sì chiaro, anche i poveri piccoli chiusi nella loro bolla, magari con le cure potrebbe venirne fuori un essere umano, chissà!

Il primo punto da considerare, parlando di ricerca medica, è che c’è una differenza abissale tra il cercare una cura per il cancro o per l’autismo: il primo è una patologia, il secondo non lo è.
Il secondo punto è che prevenire e curare una patologia è qualcosa che va a beneficio soprattutto della persona coinvolta. In quanto autistica, non cambierei per nulla al mondo il mio cervello e il mio modo di funzionare, quindi in che modo potrei beneficiare di una cura per l’autismo? Che cosa dovrei curare?
Il terzo punto è che una cura deve essere rivolta ad alleviare una sofferenza, quindi dovrebbe essere prioritario chiedersi se l’autismo fa soffrire gli autistici. Oh beh, in tanti direbbero di sì! Gli autistici fanno fatica a socializzare, hanno deficit qui e deficit là, spesso faticano a trovare lavoro, a scuola a volte fanno molta fatica, certo che soffrono! O forse no? Forse gli autistici in realtà non soffrono a causa dell’autismo ma a causa della società, che si ritiene priva di deficit e modello di perfezione a cui aspirare. Forse, ma forse eh, il problema degli autistici non è l’autismo ma la visione che ne ha la società, il bullismo, la richiesta continua di comprendere il resto del mondo senza il minimo sforzo da parte di questo nel comprendere la comunicazione autistica, la necessità costante di fingere di essere chi non si è, l’imposizione di un mondo creato per escludere chiunque non vi si adatti, l’obbligo di rendersi meno autisticǝ per poter essere tolleratǝ. Forse il problema vero è dover chiedere, per favore, di essere sopportatǝ e magari inclusǝ in una società di cui si fa già parte, perché ne facciamo già parte tuttǝ, una società dove si è costrettǝ a chiedere permesso e scusarsi per chi si è. La cura dell’autismo, quindi, va a beneficio di chi?

Come autistica e come professionista sanitaria penso che ci sia una grossa necessità di ricerca medica in ambito “autismo”, ma una ricerca che vada a vantaggio delle persone autistiche, non che miri a “curarle” da sé stesse. Per spiegarmi meglio farò qualche esempio più noto e comprensibile. Ci sono patologie che si manifestano più frequentemente nelle donne e altre negli uomini, in alcuni casi una stessa malattia si presenta con sintomi differenti nei due sessi, in altri casi l’azione o la velocità di processamento di un farmaco possono variare a seconda del genere. Ancora, ci sono diversità tra la donna in età fertile e la donna in menopausa, tra soggetti adulti e anziani, addirittura tra bambini e adulti ci si trova in due mondi totalmente diversi, ci sono diversità anche in persone uguali per genere ed età ma diverse per etnia. Questo significa che se un tal farmaco o una tale malattia vengono studiati solo su uomini caucasici, sani, tra i 20 e i 60 anni, non è sempre possibile prevedere in modo accurato ciò che accadrà in una donna, in un bambino, in un uomo africano o cinese. In tanti casi effetti e manifestazioni saranno paragonabili, magari con differenze talmente irrisorie da non essere clinicamente rilevanti. In altri casi sarà invece necessario ristudiare la situazione con un campione rappresentativo della popolazione in questione, quindi con gruppi di donne o di bambini.
La stessa cosa andrebbe fatta con l’autismo. Questo tipo di ricerca medica sì che sarebbe utile alle persone autistiche: avere strumenti adeguati di valutazione del dolore, percorsi adeguati di presa in carico nelle strutture sanitarie, effetti farmacologici su persone con funzionamento neurodivergente, approcci specifici nella comunicazione, nell’accompagnamento in fase terminale, valutare eventuali differenze epidemiologiche di prevalenza (ovvero, capire se negli autistici ci sono patologie presenti con maggiore o minore frequenza rispetto ai non autistici).

Quando si pensa all’autismo si pensa in automatico alla psichiatria. Anche gli autistici possono avere necessità di cure psichiatriche, naturalmente, e gli psicofarmaci sono forse i farmaci con più variabilità nella risposta, agendo direttamente sulla neurotrasmissione. Si sostiene anche che gli autistici siano più soggetti ad avere patologie psichiatriche, ci sarebbe però da chiedersi quanto queste siano legate all’autismo e quanto siano invece legate all’esclusione, al bullismo, al continuo e faticoso adattamento a una società fatta a misura di neurotipico, alle difficoltà pratiche quali la disoccupazione, al continuo rimando dell’autismo come qualcosa di sbagliato, da correggere, di inaccettabile. Ma le persone autistiche non hanno bisogno solo dello psichiatra, e non ne hanno nemmeno sempre bisogno! Le persone autistiche hanno bisogno di un medico di base, di specialisti di ogni branca medica e chirurgica, di fisioterapistǝ, di infermierǝ, di ostestricǝ, ecc. Gli ambiti della ricerca medica in ambito autismo sarebbero infiniti. Non solo gli psicofarmaci agiscono sulla neurotrasmissione! Analgesici, anestetici, antistaminici, antiemicranici, antiemetici solo solo degli esempi. Eppure, i soldi vanno ancora a ricerche sul microbioma intestinale (e una volta che sappiano che abbiamo batteri diversi che facciamo, al di là della curiosità scientifica? I trapianti fecali? Per guarire da cosa? Migliorare cosa? Far star meglio chi?), sui geni coinvolti nell’autismo, quali psicofarmaci utilizzare per “calmare” bambini in meltdown, cosa è meglio che facciano le future mamme per prevenire la nascita di figli autistici. Ci sono filoni teorici in cui ogni problema dell’autisticǝ nasce nell’intestino: i batteri, i vermi, le malattie, la digestione, ecc… C’è chi sostiene che se si cura l’intestino l’autisticǝ stia meglio. Ma questa non è ricerca! Questa è la scoperta dell’acqua calda! Alzi la mano chi non diventa irritabile se solo non va in bagno per qualche giorno! Vale per autisticǝ e non autisticǝ, la differenza sta nella sensorialità, nella comunicazione, nel comportamento. Se una persona autistica ha fastidio o dolore all’addome, avrà dei modi peculiari di mostrarlo. Lo farà anche se avrà mal di testa, mal di denti o la cistite. L’aneddotica non è scienza. Serve scienza. Non contro l’autismo ma al servizio degli autistici e a nostro beneficio.

Descrizione immagine: in basso al centro un essere umano in piedi osserva un cielo stellato con colori che vanno dall’arancione all’azzurro con la via lattea rosa-viola al centro.

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Neuropeculiar

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