In questi giorni ci è stato segnalato il post di un clinico che lancia un allarme. Il post esordisce così: “L’autismo non è una neurodiversità o neurodivergenza, la differenza tra i due termini è sottilissima, ma un disturbo del neurosviluppo che comporta disabilità che nella maggior parte dei casi è grave, infatti si distinguono tre livelli di autismo in base alla gravità dei sintomi.”
Il post continua argomentando esiti nefasti fondati su questo assunto iniziale.
Partiamo dall’affermazione secondo la quale la differenza concettuale tra neurodiversità e neurodivergenza sarebbe sottilissima.
Provando a disambiguare: se il significato di neurodiversità sta a quello biodiversità, il significato di neurodivergenza non ha una controparte nell’ecosistema naturale, perché in quel contesto le variazioni espresse non vengono sottoposte a scrutinio, mentre il termine neurodivergenza indica uno sviluppo neurologico considerato non standard (che sia o meno patologico, che sia o meno costituzionale, non fa differenza) al quale corrispondono varie forme di disabilitazione, anche sociale, quindi i due termini hanno significati e obiettivi d’utilizzo molto differenti.
L’affermazione che genera più sgomento, però, è quella secondo la quale l’autismo non sarebbe una neurodivergenza (voleva intendere questo), ma un disturbo del neurosviluppo, anche grave!
Che è un po’ come dire “quella persona non è disabile, ma ha la SLA” o ancora “Quella persona non è socialmente emarginata, ma ha una disabilità intellettiva”.
In che modo queste definizioni sarebbero in contrasto? Non lo sono, infatti.
La definizione clinica di una condizione non ha niente a che fare con la definizione socio-politica di quella categoria di persone. Il termine neurodivergenza non esiste per sostituire le definizioni mediche, non è un indicatore eziologico, non entra proprio nel merito. Serve invece a identificare e rappresentare una categoria umana che vive forme di stigmatizzazione e marginalizzazione in virtù delle sue caratteristiche, in questo caso neurologiche.
Le definizioni mediche servono per gestire gli aspetti clinici delle condizioni, si usano negli ambulatori e nei luoghi dedicati alla cura, quelle socio-politiche servono a gestirne gli aspetti sociali e si usano in altri contesti. Le due non sono antitetiche né reciprocamente escludenti. Possono anzi essere considerate complementari.
Comprendere questo è molto importante perché, se con le definizioni cliniche si persegue il diritto ai servizi sanitari, con quelle socio-politiche si persegue il diritto di avere tutto il resto: inclusione sociale, dignità, una vita da vivere, una società a cui partecipare. Cose che sono fondamentali per tutti, non solo per chi ha il privilegio di essere cognitivamente competente e verbalmente fluente.
Fa dispiacere vedere un clinico maneggiare in modo tanto maldestro concetti che non appartengono al suo mestiere ma che dovrebbero interessarlo in termini di apertura interdisciplinare: ovvero coinvolgendo nella costruzione e messa a sistema di buone pratiche, professioni competenti gli ambiti sociali e culturali.
Quindi sì, l’autismo determina l’appartenenza alla categoria neurodivergente, come la dislessia, la disabilità intellettiva, la schizofrenia, la Tourette e l’Alzheimer.
Tutto molto vero, e concordo che il professionista in questione dimostra quanto sono forti le sue difese e quanto debole sia la sua competenza nel parlare di questi temi on modo corretto. Speriamo recuperi e si formi per bene come sto facendo io, con decine di dubbi nella testa e molto bisogno di confronto con la comunità autistica, sempre.
Ma mi auguro che le parole di questo post possano arrivare anche a chi, tra la comunità autistica, commette forse lo stesso errore, affermando spesso che ” L’autismo non è un disturbo ma una neuridivergenza nel vasto panorama della neuridiversità”. A che qui, quel “ma” disorienta un po ‘. Non trovate? Mi sembra la stessa questione, ma al contrario.
“Ma mi auguro che le parole di questo post possano arrivare anche a chi, tra la comunità autistica, commette forse lo stesso errore, affermando spesso che ” L’autismo non è un disturbo ma una neuridivergenza nel vasto panorama della neuridiversità”. A che qui, quel “ma” disorienta un po ‘. Non trovate? ”
No, non trovo e l’argomento “Mi sembra la stessa questione, ma al contrario.” a me pare molto una fallacia argomentativa.
Tra l’altro il primo a dire che non è un disturbo ma una condizione è Simon Baron-Cohen che non è esattamente l’ultimo arrivato. Può guardare come si esprime in proposito qui https://youtu.be/BDEHjLMOhHI?feature=shared
Inoltre gli attivisti fanno discorsi politici, culturali e sociali e non medici. Non comprendo come possa NON essere chiaro e continuare ad usare quelle affermazioni al solo scopo di invalidare istanze che hanno lo scopo di eliminare lo stigma e incentivare l’inclusione e l’accettazione.
L’unico motivo che mi viene in mente è che troppo spesso si parla, o si scrive, da posizioni di privilegio speculando sulla vita di chi vive forme di oppressione e marginalizzazione.