Nasci autistico e muori autistico, si sa. In effetti, campi anche da autistico, nel bene e nel male. Non si può prescindere dalla propria neurologia, eppure… non cresci da autistico.
Ma cosa significa crescere da autistici? Beh, dipende.
Un autistico sperimenta necessariamente tutta la propria esperienza del vivere attraverso il filtro del suo funzionamento, che appunto, è autistico, ma il “vivere autistico” può accadere in modi differenti a seconda del contesto e non mi riferisco solo al contesto di vita presente, ma anche, forse soprattutto, al contesto di crescita.
Pensiamo a cosa succede a un bambino tipico che viene al mondo.
Nasce con un funzionamento neurologico perfettamente in sintonia con tutte le informazioni e le interazioni che gli verranno offerte. In un contesto familiare e sociale sano (quindi al netto di situazioni di disagio sociale o altre problematiche), ogni rimprovero, rinforzo, gesto d’affetto, sono fisiologicamente adatti a confermare e incoraggiare le caratteristiche del bambino, che crescerà sentendosi sempre più adeguato al suo contesto di vita. Capace, valido, in sintonia con le proprie emozioni e reazioni, che vengono legittimate ed educate dai caregiver e dagli altri riferimenti, compresi quelli della sfera dei pari, il nostro bambino “tipico” affronterà la crescita sentendosi la persona giusta al posto giusto, in altre parole si sentirà padrone di se stesso e della propria vita, grazie al senso di fiducia che ha potuto sviluppare dalla culla.
Ma cosa accade se il bambino che viene al mondo è autistico?
Nasce con un funzionamento neurologico che non rispetta le attese dei genitori, i quali, spaesati, non possono che constatare la mancata sintonia tra le risposte del bambino e le informazioni e interazioni che gli vengono offerte. Capiterà spesso che il bambino venga scoraggiato o mortificato per comportamenti per lui fisiologicamente naturali (stile di comportamento autistico circa il contatto visivo, il contatto fisico, il modo di giocare, il modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente, le stereotipie, le reazioni emotive) e rinforzato per quei comportamenti che per lui risultano faticosi, innaturali e spesso privi di senso. Verrà invalidato anche nel modo di vivere ed esprimere l’affettività, come lo fa lui non va bene e tutti s’impegneranno a farglielo capire, cercando di ridigere la sua tendenza verso le aspettative del contesto. Crescerà sentendosi sempre più inadeguato al mondo che lo circonda, spesso a partire dal nucleo familiare. Incapace, sbagliato, ormai in conflitto perenne con se stesso perchè ha imparato che anche le sue emozioni e il suo modo di esprimerle non sono adeguati, non riesce a gestirle e nessuno sembra in grado di aiutarlo a capire come farlo in un modo che sia “autisticamente sano”, ovvero che risulti funzionale ma rispettoso della sua natura. Affronterà la crescita sentendosi un essere umano rotto, o un essere non umano, tanta la distanza che lo separa dagli altri e soprattutto dalle loro aspettative. Non è padrone di se stesso né della propria vita, dato il senso di profonda sfiducia e disistima che ha sviluppato fin da piccolo.
Direi che possiamo fermarci un attimo a chiederci se i “comportamenti problema” abbiano qualcosa a che fare con questo.
Ora, il ragionamento più semplicistico è che quanto sopra accade perchè “sfortunantamente” il bambino è nato autistico.
Un ragionamento meno semplicistico è che quanto sopra accade perchè il bambino nasce e cresce in un contesto che non è capace di crescere un autistico e con questo non mi riferisco ad una colpevole mancanza dei genitori, ma al fatto che i genitori e tutti gli altri riferimenti (insegnanti, parenti, amici, la società stessa), anche fossero essi stessi autistici, hanno ricevuto un bagaglio di significati che risulta essere l’unico possibile da applicare. Nessuno ha mai ricevuto le coordinate per concepire come crescere in modo sano un bambino autistico e con questo intendo riuscire a dargli lo stesso grado di validazione, fiducia, legittimazione che vengono offerte a un bambino tipico.
Anche noi genitori autistici, cresciuti da genitori probabilmente autistici a loro volta, siamo comunque venuti su (non senza conseguenze) coi principi, i valori e le aspettative di una società fondata sul modello del funzionamento tipico e quello abbiamo ricevuto, quello abbiamo da offrire. Nessuno di noi sa davvero come crescere in modo sano un figlio autistico. Quelli di noi che si pongono il problema provano a improvvisare, sulla base della propria esperienza e cercando di usare il buon senso, ma non sempre ci indovinano, perché non aver ricevuto alcun modello culturale che funga da mappa per muoversi nell’educazione di un figlio è una grossa mancanza.
Ciò accade perché nella nostra meravigliosa, sfaccettata, multiculurale società, non esiste una cultura autistica, ovvero un modello sociale e culturale accettato, coltivato e in uso, se non quello patologizzante la condizione. Nel modello corrente gli autistici sono esseri umani con un difetto patologico che impedisce loro di rispondere alle attese della società, soprattutto in termini relazionali.
Penso, e invito anche voi a farlo, a cosa accadrebbe se il ventaglio di ciò che viene considerato socialmente concepibile si allargasse abbastanza da comprendere modi meno frequenti di relazionarsi ed esperire il mondo e la vita stessa, in modo da poter insegnare a bimbi e ragazzi autistici che essere fatti come sono fatti va bene e possono andare nel mondo sentendosi a casa, anche loro.
NO ONE RAISES YOU AUTISTIC
“If you are born Autistic, you’ll die Autistic, everybody knows that. You also live as Autistic, for better or for worse. One cannot ignore one’s neurology, yet … but in reality you don’t grow up, aren’t raised as Autistic.
But what does it mean to be raised Autistic? Well, it depends.
An autistic person necessarily experiences all their experience of living through the filter of ther functioning, which is autistic, but “autistic living” can happen in different ways depending on the context and I am not referring only to the context of present life, but also, perhaps above all, to the context of growth.
Let’s think about what happens to a typical child who comes into the world.
They were born with neurological functioning that is perfectly in tune with all the information and interactions that will be offered to them. In a healthy family and social context (therefore absent situations of social distress or other problems), any reproach, reinforcement, gesture of affection are physiologically suitable for confirming and encouraging the characteristics of the child, who will grow up feeling more and more adapted to their life context. Capable, valid, in tune with their own emotions and reactions, which are legitimized and educated by caregivers and other references, including those from the peer sphere, our “typical” child will face growth by feeling like the right person in the right place — in in other words, they will feel in control of themselves and their own life, thanks to the sense of trust that they have been able to develop from the cradle.
But what if the child who comes into the world is Autistic?
They are born with a neurological functioning that does not fulfill the expectations of their parents, who, bewildered, can only note the lack of harmony between the child’s responses and the information and interactions that are offered to them. It will often happen that the child is discouraged or mortified for physiologically natural behaviors (autistic style of behavior in terms of eye contact, physical contact, the way of playing, the way of relating to others and the environment, stereotypies, emotional reactions) and reinforced for those behaviors that for them are tiring, unnatural, and often meaningless. They will also be invalidated in their way of living and expressing affection, the way they do it is not good and everyone will endeavor to make them understand it, trying to redefine their tendency towards contextual expectations. They will grow feeling increasingly inadequate to the world around them, often starting from the family unit. Unable, wrong, now in perpetual conflict with themselves because they have learned that even their emotions and their way of expressing them are inadequate — they cannot manage them and nobody seems to be able to help them understand how to do so in a way that is ” autistically healthy “, meaning one that is functional but respectful of their nature. They will face growth by feeling like a broken human being, or a non-human being, so great is the distance that separates them from others and above all from others’ expectations. They do not have command of themselves or of their own life, given the sense of deep distrust and disdain they have developed since they were a child.
I would say that we can stop for a moment to ask ourselves if “problem behaviors” have anything to do with this.
Now, the most simplistic reasoning is that the above happens because “unfortunately” the child was born Autistic.
A less simplistic reasoning is that the above happens because the child is born and raised in a context that is not capable of raising up an autistic person and with this I am not referring to parental negligence, but to the fact that parents and all other references (teachers, relatives, friends, society itself), even if they are Autistic themselves, have internalized a baggage of meanings that are the only ones they can apply. Nobody has ever received the coordinates to conceive how to raise an autistic child in a healthy way — and by this I intend to be able to give them the same degree of validation, trust, and legitimacy that are offered to a typical child.
We autistic parents too, raised by parents who were probably themselves autistic parents, nevertheless grew up (not without consequences) with the principles, values, and expectations of a society based on the typical functioning model and what we have received, what we have to offer. None of us really know how to raise an autistic child in a healthy way. Those of us who pose ourselves the problem try to improvise, based on our experience and trying to use common sense, but we don’t always guess right, because not having received any cultural model that might provide a map to move through the education of a child is a big shortcoming.
This happens because in our wonderful, multifaceted, multicultural society, there is no autistic culture, that is, an accepted social and cultural model, cultivated and in use, besides the pathologizing one.”
(Translate by Andrew Dell’Antonio )
Assolutamente d’accordo. Anche perché il modello “normale” non elimina i disagi, le diversità e le caratteristiche di ogni essere umano, infatti le discriminazioni avvengono anche per i “normali” ma grassi oppure depressi oppure non-cristiani…
Patologizzare l’autismo ( e conseguentemente medicalizzato) ha prodotto più mostri che santi!
…anche crescendo un autistico come autistico, in famiglia, arriva il momento del confronto sociale.
Ancora peggio il momento del distacco dal contesto familiare e il cammino nel mondo.
Mondo che ti nega, e ti sconferma. Allora o mascheri o vai in difesa psicotica.
Tutto di pari passo dovrebbe procedere per crescere “tutta la vita” da autistici. E sviluppare pienamente come persona.
Famiglia, parenti, scuola, lavoro, social…cultura.
Pian piano, come gocce sulla roccia, qualche percorso si sta scavando.
Grazie per il contributo .
Grazie delle riflessioni. Mi sorge una domanda e cioè come costruire un modello genitoriale che rispetti la specificità del proprio figlio. I modelli culturali cambiano,cinai può contaminare. Comw dici tu si improvvisa ma si può creare un confronto e soategno per costruire una nuova modalità? Io penso che voi siwte su questa strada e aiuta chi come me cerca di fare la mamma nel rispetto della diversità del figlio